All language subtitles for The.Photographer.Murder.in.Pinamar.2022.DUBBED.WEBRip.x264-ION10

Quella mattina,

come tutte le mattine d'estate,

mi apprestavo ad andare a pescare.

Sulla strada che percorrevo ogni giorno,

a un tratto,

vedemmo quattro o cinque persone
e un'auto da cui usciva del fumo.

Mi parve una cosa normale.
Aveva preso fuoco un'auto. E proseguii.

Mi soffermai un attimo e via.

25 GENNAIO 1997

Verso le sei del pomeriggio,
rifeci quella strada per tornare.

E allora non c'erano solo tre persone.

C'erano gli elicotteri
e anche molte volanti.

Allora chiesi cos'era successo.

Vennero da me e mi dissero

che c'era stato un morto.

E che la persona uccisa

era Cabezas.

Era morto un giornalista.

Mi resi subito conto della portata
di ciò che era successo.

Si tratta di un caso avvolto nel mistero.

Una Ford Fiesta ha preso fuoco,

a quanto pare con un cadavere dentro,

in una buca.

La Società della Stampa condanna

l'omicidio di un giornalista
della rivista Noticias.

Il fotografo José Luis Cabezas
è stato ucciso nel week-end

e i colleghi argentini sospettano
che si tratti di un omicidio politico.

Il governo nazionale è invitato

a chiarire cos'è successo
a José Luis Cabezas.

Un evento così atroce è incredibile.

Giustizia!

- Cabezas!
- Presente!

- Cabezas!
- Presente!

Ríos, cosa dirà al giudice?

Chi ci dice che non possa risuccedere?

È una svolta.

È fra i capitoli più oscuri
della nostra storia.

- Che pensa delle accuse mossele?
- Che direbbe ai Cabezas?

Yabrán è un imprenditore come tanti.

Il sig. Yabrán è un capo mafia.

Sono dei criminali.

Ci troviamo in un film di gangster.

L'auto è completamente bruciata.

È chiaro che è stata messa lì di proposito
e poi data alle fiamme.

IL FOTOGRAFO E IL POSTINO:
L'OMICIDIO DI JOSÉ LUIS CABEZAS

La mia mente torna continuamente
a quell'estate del '97.

Sono cicatrici
che ti restano addosso per tutta la vita.

Onestamente, nessuno è preparato
a una cosa del genere.

Ero un collega di José Luis
Cabezas alla rivista Noticias.

Eravamo la squadra
che si occupava dell'estate a Pinamar.

E questo ci ha resi più che colleghi.
Siamo diventati amici.

Pinamar non è solo
un mix di alberi, sabbia e mare.

Pinamar aspira a diventare
la mecca della moda sulla costa argentina.

Pinamar negli anni '90 era una sintesi

degli eventi politici nazionali.

Regnava una banalizzazione molto chiara,
incoraggiata dal presidente Carlos Menem.

Un sistema di voli spaziali
che andrà nella stratosfera.

E da lì, in un'ora e mezzo,
possiamo arrivare

in Giappone, in Corea
o in qualsiasi altra parte del mondo.

Fare politica significava mostrarsi
con la Ferrari, a ballare con un'odalisca.

Significava mostrare il potere

e il fascino del consumo
e dell'ostentazione.

Un mix di jet set e politica.

Pinamar era unica in quanto era
il luogo in cui, ogni estate,

si trattava
e si stringevano accordi politici.

È qui che andavano
le figure principali del menemismo.

Se, tra interviste e trattative,
c'era tempo per andare in spiaggia,

i politici sceglievano
l'esclusivo stabilimento balneare CR.

Pinamar era uno dei resort
più belli della costa.

Piaceva molto ai giornalisti.

Pinamar era un inno alla vita.

Ci godevamo molto la spiaggia e il luogo.

A Pinamar,
avevamo un gruppo di grandi amici.

Il 24 gennaio 1997…

Come va?

…ci fu una festa per Andreani.

Era una festa molto importante,
molto caratteristica di Pinamar,

perché a loro piacevano
i fuochi d'artificio.

Avevamo così tanti amici
che pensammo di fare una festa

più allargata.

Mi resi conto che la cosa
ci era un po' sfuggita di mano.

Era diventata
una delle grandi feste di Pinamar.

Noi la documentammo.

José Luis faceva le foto
e io guardavo chi c'era.

Rimanemmo sempre insieme.

Verso le 4:00 del mattino,

dissi a José: "Io me ne vado".

Gli chiesi cosa volesse fare e lui:
"Io resto". Si stava divertendo molto.

Gli lasciai l'auto

e quello fu l'ultimo contatto
che ebbi con lui.

Ricordo che, verso le 5:00 del mattino,

incrociai José Luis Cabezas.

Io salivo e lui scendeva le scale
per andarsene.

Non ci dicemmo nulla.
Ci incrociammo appena.

Disse: "Spettacolare!"

25 GENNAIO 1997

Il 25 gennaio,

dovevamo andare a fare
una ricognizione verso le 14:00.

Non vedendolo, siccome era molto puntuale,
gli mandai un SMS e poi chiamai a casa.

La suocera mi disse che,
non solo non c'era, ma non era tornato

dalla sera prima.

"Come non è tornato?"

Ho iniziato a preoccuparmi e ho detto:
"Cos'è successo?"

Per prima cosa chiamai i colleghi

e scoprii che aveva lasciato
la casa di Andreani alle 5:10.

Chiamai l'hotel
dove avevamo il nostro ufficio.

Nessuno sapeva nulla.

Così dissi agli amici:

"Andiamo all'ospedale.
Magari ha avuto un incidente".

L'ospedale di Pinamar.

Attraversammo la città

e, strada facendo,
passammo dal commissariato.

MAPPA PINAMAR

Vidi il commissario di Pinamar,
Alberto Gómez.

Così scesi dall'auto e chiesi: "Gómez!

Lei sa qualcosa? Stiamo cercando
Cabezas, il fotografo di Noticias".

Disse: "Non so nulla.
Che macchina avevate?"

E io: "Una Ford Fiesta bianca".

Mi disse:
"Temo di avere brutte notizie".

E io: "Cos'è successo?"

Ho pensato a un incidente.
Che gli avessero rubato l'auto.

Andò nel suo ufficio.

Io lo seguii.

E lui con la radio parlò
con quelli che erano sul luogo

dove avevano ritrovato l'auto.

Sentii che diceva alla polizia:

"Mi sa che abbiamo identificato corpo.

Può essere José Luis Cabezas
della rivista Noticias".

Dissi: "Ma dovreste sapere se è lui o no".

E loro: "Non c'è modo di identificarlo
perché il corpo è carbonizzato".

Proviamo a filmare questo luogo.

Sì. Qui potete vedere
dove è stata trovata l'auto.

È davvero impossibile da vedere.

Qui vediamo un'auto bruciata,

completamente bruciata,

con un corpo
dalle caratteristiche maschili.

La scientifica sta arrivando
per lavorare sulla scena.

Mi chiamo Mariano Cazeaux.

All'epoca del caso Cabezas,

ero segretario
del tribunale numero due di Dolores,

presieduto da José Luis Macchi.

Il dipartimento di Dolores
ha un'estensione molto ampia

e comprende i comuni della costa.

Il 25 gennaio arriva
un rapporto della polizia

che comunica il ritrovamento
di un veicolo bruciato

con un cadavere dentro.

Il primo verbale

era così vago e breve

che poteva far pensare a un incidente.

Mi portano alla buca di General Madariaga.
Arriva un poliziotto.

Gli dicono:
"Lui è il collega di Cabezas".

Mi fanno passare.

Arrivo sul posto

e vedo quella scena orribile.

Era un'immagine

che mi torna sempre in mente
e che non dimenticherò mai.

Non potevo credere
che quello che vedevo fosse José Luis.

È… stato…

È stato orribile.

Poi chiedo
se hanno trovato una fotocamera.

Dicono che la fotocamera non c'era.

Chiedo se c'erano dei rullini
e me ne mostrano alcuni bruciati.

Iniziano a mostrarmi degli oggetti.
Mi mostrano uno stivale texano.

Un orologio.

Delle manette.

Capisco che l'avevano ammanettato.

Mi mostrano un mazzo di chiavi
e ne vedo una

che mi sembra
quella del nostro ufficio a Pinamar.

Io ne avevo un altro mazzo

e andai a prenderlo nello zaino.

Le confrontammo ed erano uguali.

Andammo a Pinamar, in ufficio.

Quando mettemmo la chiave nella toppa
e quella girò e aprì l'ufficio,

allora capii tutto.

Fu allora che mi resi conto

che la persona che avevano ucciso
e poi bruciato era davvero José Luis.

GIORNALISTA ASSASSINATO
E BRUCIATO SULLA COSTA

TROVATO CADAVERE DI GIORNALISTA

All'inizio, era tutto molto confuso.

GIORNALISTA, RIVISTA NOTICIAS

Io non capivo cosa stava succedendo.

FOTOGRAFO DI NOTICIAS
AMMANETTATO E BRUCIATO IN AUTO

Un crimine in piena democrazia

era imprevisto, inimmaginabile
e assolutamente sconvolgente.

Ci chiediamo
chi sia capace di tanta barbarie.

E non credo che molti
siano capaci di questa barbarie.

Ero una cronista radiofonica
alle prime armi.

C'era una gran confusione.

Ma ricordo di aver chiamato la radio
per dire che volevo andarci.

Menem, agli occhi del pubblico,
era già piuttosto malvisto.

Aveva molte denunce di corruzione.

E ora erano i media a denunciarlo.

Finché non si chiudono…

Nella prima conferenza stampa,
Carlos Menem è molto a disagio e dice:

"Riguarda la Provincia di Buenos Aires.
Non è un crimine politico".

Per favore,
non cercate di politicizzarlo.

È un punto di svolta.
Non c'è stato nessun incidente del genere

dal ritorno della democrazia.

Chi ci dice che non possa risuccedere?

Alfonsín, un grande presidente argentino,

dice: "Gli hanno lanciato un morto".

Duhalde, quando fu ucciso José Luis,
ebbe paura.

Lo penso davvero.

Domenica, il cadavere di Cabezas
è stato trasportato da Pinamar a La Plata.

L'obitorio ha eseguito l'autopsia

accertando che il giornalista è morto
per un colpo di pistola alla testa.

L'autopsia certificò la morte violenta

provocata da un colpo
di arma da fuoco.

C'era la direzione
di entrata e uscita del proiettile.

Era ammanettato?

Era ammanettato.

- E le manette erano del suo distretto?
- Non posso confermarlo.

Raccoglieremo le deposizioni
di varie persone.

E poi, man mano che l'indagine
andrà avanti, verrà il resto.

- Ci sono stati arresti o fermi?
- No, nessuno.

Cabezas era un tipo

davvero molto divertente.

Ma era anche una persona arrogante.

Era molto arrogante.

Ecco qua.

- Fermo!
- No, non puoi giocare. Sei un baro.

Era un tipo allegro, simpatico, burlone.
Un gran burlone.

La coppia che si aggiudica
il tesoro non paga il brasato.

All'inizio non mi piaceva molto.

Poi le cose cambiarono. Diventammo amici.

Quando decisero di formare
una squadra per Noticias, mi dissero:

"Trovati cinque fotografi
e crea Noticias".

E scelsi anche Cabezas

perché era un tipo attento

alle inquadrature.

Noticias era una rivista d'informazione

e quasi tutte le copertine

erano dedicate alla politica.

Conduceva indagini giornalistiche
e le foto erano molto importanti.

Riuscimmo a diventare

la squadra di fotoreporter
più importante dell'America Latina.

Cabezas non fotografava
un tizio seduto.

Lo fotografava, ma dall'alto.

Mi spiego? Da un'angolazione particolare.

Cercava uno stile tutto suo
e credo che lo stesse trovando.

Spesso saliva sulla scrivania
e io lo prendevo in giro.

Ma era ossessivo.
Non era mai soddisfatto.

Traeva ispirazione
dall'ambiente in cui lavorava.

Nessun fotografo faceva così tanti scatti.

Era molto convincente.

Ti convinceva a fare qualsiasi cosa.

Era molto testardo.

Quando si metteva una cosa in testa,
era difficile fargli cambiare idea.

Aveva uno sguardo speciale e,
in un certo senso,

quelle feste degli anni '90
passavano dal suo sguardo.

Alle 11:00 mi fa:

"Torno tardi. Non aspettarmi sveglia.

Vado a una festa".
Io sapevo di questa festa.

Lo conoscevo, sapevo com'era fatto.

Amava divertirsi e…

È andato a una festa.

E dopo?

Dopo?

Dopo è finito tutto.

CONTRO L'IMPUNITÀ

Dopo aver lasciato la bara,
i fotografi andarono all'Obelisco.

Formarono un cerchio

con le fotocamere a terra.

E all'improvviso, si resero conto

che non avrebbero dovuto farlo.
Era come arrendersi.

Allora le alzarono al cielo

dando vita al celebre
"su le fotocamere".

José Luis fu rapito, ucciso
e il suo corpo fu bruciato.

In un certo senso,
mi parve di essere tornato…

FOTOREPORTER

…ai momenti più bui del nostro Paese.

Era un crimine di un'altra epoca

che sembrava arrivare direttamente
dalla dittatura militare.

Era un messaggio per noi.

Tutta la nazione era sotto shock.

Immaginate lo shock di una redazione
che cercava di fare i conti col terrore.

Smarrimento, attacchi di panico,

richieste di ogni tipo.

"Chi ci proteggerà?"

Da quel momento, iniziarono ad
arrivare una valanga di minacce.

Telefonate…

Minacce di morte…

Proiettili sulla porta di casa mia…

Camminavo come sotto la dittatura,

contromano per non essere rapito.

E vivevo nel terrore.

È una barbarie. È incredibile

che in questo Paese possa accadere
qualcosa di tanto atroce.

Non chiediamo vendetta.
Vogliamo giustizia

perché non è una richiesta corporativa
dei soli giornalisti. Non equivochiamo.

Era chiaro

che avremmo lottato
perché non restasse impunito.

Se poteva succedere al fotoreporter
della rivista più letta dell'epoca,

immaginatevi agli altri.

NON DIMENTICATE CABEZAS

FOTOREPORTER

Ce ne dimenticheremo. Accadrà qualcosa
che distoglierà l'attenzione del pubblico

e nessuno si ricorderà di Cabezas.

Chiediamo questo. Per prima cosa,
chiediamo di non dimenticare Cabezas.

Quel "Non dimenticate Cabezas"
è il messaggio di un oratore implicito

che si è già assunto
il compito di ricordare

e dice: "Non dimenticate Cabezas".

Altrimenti sarà troppo tardi
e ci saranno altri crimini.

TUTTA LA VERITÀ. TUTTA LA GIUSTIZIA.

DUHALDE OFFRE UNA RICOMPENSA

Il governo della Provincia di Buenos Aires

ha offerto una ricompensa

a qualsiasi cittadino in grado di fornire
informazioni concrete e precise…

Credo che la ricompensa
venga usata poco in Argentina,

ma è uno strumento

utilizzato in molte parti del mondo,
specie negli Stati Uniti.

E dà buoni risultati.

La ricompensa

potrebbe indurre molte persone
a riferire ciò che sanno.

Non teme
che la gente dia informazioni false?

Che possano spuntare piste false?

Purtroppo sì. Le ricevo ogni giorno.

In pratica,
quelle dichiarazioni ci portarono

in un vicolo cieco.
Alcune addirittura ci depistarono.

VITTIMA DI PRIVAZIONE ILLEGALE
DELLA LIBERTÀ

A un certo punto arriva un testimone,

introdotto nelle indagini
dal capo della polizia,

che sostiene

di conoscere gli esecutori del delitto

e che erano di Mar del Plata.

Fa i nomi, li descrive…

Mar del Plata è un luogo
molto diverso da Pinamar

sia geograficamente che socialmente.

PROVINCIA DI BUENOS AIRES

Mar del Plata è una città molto più grande
e ha un altro stile di vita.

Di sicuro,
tutte queste persone di Mar del Plata

erano legate

alla criminalità organizzata.

Margarita Di Tulio,
nota come "Pepita la pistolera",

era una di loro.

Si sapeva che gestiva alcuni bordelli

e il giro di prostituzione
della zona del porto.

Devo il soprannome al giornalismo
vecchio stile, di quando ero giovane,

perché ero…

Mi piaceva e mi piace portare le armi.
Uso sempre una .38.

A Pepita la Pistolera e ai quattro uomini

si arrivò tramite un testimone
di nome Carlos

che sosteneva di aver sentito la Di Tulio
dire, il giorno prima dell'omicidio:

"Un giornalista di Noticias
ci sta mettendo nei casini.

Dovremo eliminarlo".

Disse queste cose

perché le aveva sentite

quando, a quanto pare,
si era infiltrato fra di loro.

Fornì una serie di informazioni

che portarono all'arresto

dei cosiddetti "Pepitos".

Furono emessi dei mandati di perquisizione

e, durante queste perquisizioni,
fu trovata una pistola

compatibile con il pezzo di piombo
rinvenuto nel cranio.

Uno di loro aveva l'arma
e fra di loro esisteva un legame.

C'era un po' d'ambiguità,

ma quando apparve la pistola,

dicemmo: "Ok, qui c'è un nesso reale".

Qui uno dei detenuti, la donna,

Margarita Graciana Di Tulio, 48 anni,

viene fatta salire su una volante.

Prendono in giro me e la famiglia Cabezas.

Cosa dice dell'arma?

Dicono di essere innocenti
e che la verità verrà fuori.

Che ci dice?

È tutta una farsa.

Perché ti hanno coinvolto?

Mi chiamo Alejandro Vecchi.
Sono un avvocato.

Avevo avuto la fortuna
di essere chiamato da Mauro Viale,

che aveva un programma su ATC.

Quando c'era un caso di polizia,
mi convocava.

Mi fa: "Non ci sono politici
o poliziotti coinvolti".

- Strano, vero?
- Sì.

- È strano.
- Perché?

Pare più un avvocato difensore.

Quella volta,
quando partecipai al programma,

l'attenzione era tutta
sul crimine di Cabezas.

Non c'era niente di più importante.

Avevo visto in televisione

che avevano eseguito già alcuni arresti.

Allora mi venne in mente una cosa e dissi:

"Mi colpisce

che gli arrestati abbiano un avvocato
e la famiglia no".

L'unico consiglio che diedi alla famiglia
fu di cercare una persona fidata

e farla lavorare sul dossier Dolores
perché la verità è lì dentro.

Qualunque cosa ci sia, chiuderà il caso.

A fine programma, la famiglia Cabezas
mi circondò e mi disse:

"Senta, vorremmo che lei…"

Io ero con le mie figlie.
Volevo solo andarmene.

Non volevo essere coinvolto

perché per me, era un caso…
Era come un UFO caduto dal cielo.

Era una cosa enorme.

All'inizio, dissi che non avrei accettato.
A casa dissi di no. Poi mi chiamarono.

Allora andai dalla famiglia Cabezas
e conobbi José, Norma, Gladys…

Conobbi una famiglia
che avrebbe potuto essere la mia.

Gli volevo tantissimo bene.

Non potete nemmeno immaginarlo.

Ero orgogliosa dei miei figli
e lui era la luce dei miei occhi.

Uno come José Luis?

Meritava solo
di essere abbracciato e baciato.

Mai vista una persona così gentile.

Al tribunale di Dolores, trovai un giudice

totalmente disorientato.

E capii che la causa
era già stata contaminata.

Il testimone chiave
era Carlos Alberto Redruello,

un truffatore con cause in varie province.

Era finito nella prigione di Bahía Blanca.

E dopo un ricalcolo delle accuse,

finì per uscire
sei o sette mesi prima del delitto.

Su indicazione dei vertici della polizia
della Provincia di Buenos Aires,

quest'uomo aveva ricevuto un'auto,

un cellulare ed era passato
da ex detenuto a informatore.

In pratica, una spia della polizia,

che doveva indagare
su alcune "rotte della droga"

a Mar del Plata.

Suggerì anche il movente del gruppo

e disse che queste persone erano irritate

perché Cabezas stava indagando
sul traffico di droga nel porto.

Ma si sospettava anche

che Cabezas volesse ricattarli
con delle informazioni in suo possesso.

SI INDAGA SULLA VITA
DEL GIORNALISTA ASSASSINATO

Secondo questa tesi, José Luis Cabezas

sarebbe stato un estorsore che viveva
facendo foto e ricattando le persone.

Qualsiasi manuale di indagini
o di criminologia

sottolinea l'importanza

di indagare sulla vittima.

Non è che non potessero indagare
su di lui, ma non accusarlo apertamente

in una causa iniziata 15 minuti prima.

Innanzitutto, era Mar del Plata.
Noi eravamo a Pinamar, un altro universo.

Non c'entravamo nulla con quel mondo.

Non ci avevamo neanche fatto indagini.

Non so cosa succede in questo Paese.

Ma per mio figlio…

Cosa stanno facendo?
Cos'altro vogliono?

Cos'altro vogliono
dopo quello che ci hanno fatto?

La prima volta
che andai a casa dei Cabezas,

mi chiesero se potevo accompagnarli
a un incontro col governatore Duhalde.

Prima che ce ne andassimo,
mi chiese se poteva parlarmi da solo.

Disse che era a disposizione
e che era un caso

molto importante per lui.

Voleva sapere chi aveva ucciso
e ordinato di uccidere José Luis Cabezas.

Ho un impegno con i genitori di Cabezas.

Un giorno verrò qui e sarò il primo
a dire loro chi ha ucciso loro figlio.

Ricordo che avevo una strana sensazione,
un misto di paura,

di diffidenza

e di rispetto.

Si percepiva anche
una sorta di aura mafiosa

nella polizia, nel governo…

E se fosse la polizia?
E se rappresentasse anche la polizia?

PROVINCIA DI BUENOS AIRES

Dolores è la mia città natale.
La conosco e lì mi conoscono.

Siamo pochi e ci conosciamo tutti.

È un luogo tranquillo.

La città si trasformò.

Una piccola città
che a un tratto fu invasa

per via del caso più importante
dell'Argentina e della regione

e ci fu un impatto e un'invasione

di giornalisti che li sopraffece.

La città era piena di camion dei media,

di cavi per le strade,
di gente che correva.

I caffè erano pieni di giornalisti.

E durò a lungo.

Il giudice Macchi
e il segretario del tribunale

non avevano esperienza con i media.

Cosa c'è di certo?

Era un caso scottante.

Quando lo definivano giudice di provincia,
e a lui piaceva questo nome,

pensavo non lo conoscessero,
perché era incredibilmente capace.

E lo chiamavano così in modo sprezzante.

AUTORITÀ GIUDIZIARIA

Noi giornalisti eravamo
molto manipolabili.

Potevano manipolarci su tutto

e ignoravamo la verità.

Menem ha inviato
il ministro Carlos Córach

e il segretario generale Alberto Kohan
a parlare con il giudice.

Una visita di protocollo
durante la quale si misero a disposizione

e offrirono tutte le risorse necessarie
per risolvere il caso.

Quando uscirono dall'ufficio di Macchi,

incontrarono la stampa

e comunicarono
che i test avevano dato esito positivo,

suggerendo in qualche modo
che il caso era stato risolto.

Il giudice ha confermato in modo decisivo

che l'arma sequestrata…
che una delle armi sequestrate,

secondo gli esperti,

è senza dubbio quella usata
per l'omicidio del sig. Cabezas.

Era insolito, perché il rapporto ufficiale
non era ancora pronto.

L'imposizione al giudice,
pochi giorni dopo il delitto,

di due funzionari di alto livello
che dicevano che il caso era chiuso

fu una cosa… Era orribile.

Questa indagine è di competenza

del sistema giudiziario e della polizia
della Provincia di Buenos Aires.

Sono convinto che sia responsabilità

della provincia indagare su questo fatto
avvenuto al suo interno.

Non mi sottraggo alle responsabilità.

Duhalde era una figura molto importante

perché era governatore della provincia
e ambiva alla presidenza.

Questo portò alla rottura
col suo ex alleato Carlos Menem.

Duhalde era stato vicepresidente
nel primo mandato di Menem.

Poi governatore della provincia

e ora era pronto
a succedere a Carlos Menem.

Si accusavano a vicenda.
Un riflesso politico quasi da manuale.

Prima: "Io non c'entro affatto".
Lo dicono presidente e governatore.

Erano i due settori
con la quota maggiore di potere.

Governo e provincia,
che era pari al 40% del Paese.

Tutti vedevano nei notiziari

le frecciate politiche
che si scagliavano a vicenda.

L'omicidio di Cabezas,

che Duhalde può interpretare
come un avvertimento

contro le sue ambizioni presidenziali,
è argomento della campagna.

La settimana dopo l'omicidio,

avevamo affittato un club
a General Madariaga,

dove avrei lanciato la mia campagna.

Quell'incidente, ovviamente,

mi costrinse a frenare.

Eravamo in pieno caso.

Ero assolutamente scioccato.

Duhalde

all'inizio era convinto
che quel cadavere fosse destinato a lui

come un messaggio mafioso.

Era il certificato di morte
delle sue aspirazioni presidenziali.

PROVINCIA DI BUENOS AIRES

È impossibile rapire qualcuno
a Pinamar senza essere visti.

Ad ogni angolo c'era
un politico o un imprenditore.

Pinamar, all'epoca, era il luogo

in Argentina con la massima concentrazione
di guardie per metro cubo.

Questo ci dice che la polizia
o era coinvolta o guardava altrove.

Le manette.

Le manette mi fecero pensare alla polizia.

È normale pensare
a un coinvolgimento della polizia

in un delitto in cui viene usato il fuoco
per distruggere le prove.

Non hanno fatto il possibile all'inizio.
L'hanno fatto male.

La ricostruzione del crimine,

gli oggetti ritrovati sul posto.

Tanta goffaggine in un'indagine di polizia
poteva essere solo intenzionale.

Una delle piste riguardava

un possibile coinvolgimento della polizia
per la pubblicazione della foto

"Maledetta polizia" su Noticias.

Se c'era qualcuno a cui davamo fastidio,
era la polizia di Buenos Aires.

Avevamo fatto la copertina
"Maledetta polizia".

SOLDATI DEL DIAVOLO

Una polizia molto contestata
per un sacco di cose

e che Eduardo Duhalde aveva difeso

con la frase:
"Ho la migliore polizia del mondo".

L'ESERCITO DELLA NOTTE

E noi avevamo fatto un po' di casino
fotografando le case dei commissari.

Avevano flotte di auto di lusso.

Uno aveva addirittura uno yacht.

Un altro una casa a Beverly Hills.

La foto principale fu scattata da Cabezas.

È una foto del commissario Klodczyk.

José Luis non esitò a salire
sulla scrivania

del commissario Pedro Klodczyk,

un uomo onnipotente che guidava la forza
più pericolosa dell'Argentina dell'epoca.

Una foto dall'alto,
come da un altro luogo di potere.

Klodczyk, con il cappello ben calcato,
l'uniforme,

la camicia azzurra e la cravatta,

ci guarda come se volesse intimidirci.

È la foto legata al titolo
"Maledetta polizia".

Ci vuole coraggio per dire certe cose
e mostrarle, specie in copertina.

Dopo l'intervista con Klodczyk,

quando lasciammo
la centrale di polizia di La Plata,

Cabezas disse:
"Una delle soddisfazioni di questo lavoro

è poter salire sulle scrivanie
di quei figli di puttana".

Quando uscì quella copertina,
aprii un'indagine i cui esiti

confermarono alcuni problemi.

Io, nel dubbio, licenziai il funzionario,

senza avere certezze.

Pensammo che qualcuno
potesse essersi offeso

e avesse deciso di vendicarsi.

Onestamente,

non mi fidavo
della polizia di Buenos Aires

perché avevo lavorato
all'articolo "Maledetta polizia".

Sapevo come si muovevano.

E quindi non mi fidavo per niente.

La mia prima dichiarazione è del 25
di gennaio alle 23:00, il giorno stesso.

Prima alla polizia di General Madariaga.

Poi in una stanza attigua,

dove sono stato ascoltato
dagli inquirenti di Dolores.

Quella notte, parliamo
della notte del 25 gennaio,

iniziarono a chiedermi
quali indagini avessimo fatto.

Così iniziai a raccontare.

E alla fine

mi dissero: "Non devi avere paura.
Perché tanta paura? Vogliamo aiutarti.

Dacci qualche elemento."

E io: "Leggetevi il primo articolo".

"Quale?"
"Quello sull'Hotel Ara Pacis."

Uno chiede: "Di chi è l'Ara Pacis?"

E l'altro agente: "Di Yabrán".

Il commissario impallidisce.

Sbianca. Mi guarda e mi dice:

"Ora capisco perché hai paura".

Parlare di Alfredo Yabrán
nella Repubblica Argentina

era quasi proibito.

Era una persona

su cui era meglio non indagare
e che andava lasciato stare.

Dirci "lasciatelo stare"
era quasi provocatorio.

Cerchiamo di scoprire
cosa non si può sapere.

Yabrán era uno dei figli
di una famiglia siriana,

uno dei tanti immigrati a Entre Ríos.

Una famiglia dedita

agli affari e soprattutto al commercio.

Nativo di Larroque.

Andò a Buenos Aires molto giovane

e iniziò a fare affari,

prima sotto i militari,

poi mantenne ottimi contatti
anche durante il governo democratico.

La prima volta che sentii nominare Yabrán
fu nel settembre

del '91. Poi scoprii che erano anni
che intratteneva rapporti

con le amministrazioni
e con la Chiesa cattolica.

E con l'aeronautica,
specie quella di stato.

Ma non lo conoscevo.
Non avevo mai letto sui giornali

il cognome Yabrán.

Tutto ciò che riguardava Yabrán
riconduceva a qualche segreto nascosto.

Quando Noticias
iniziò la prima indagine su Yabrán,

diverse autorità cercarono
di bloccare l'articolo.

Finì addirittura in un caso poliziesco

perché il giornalista e il fotografo
che andarono a scattare le foto

della fortezza di Yabrán a Martínez

furono inseguiti a suon di spari.

Facemmo un pezzo di diverse pagine

in cui parlammo
del grave incidente con gli spari,

del passato di Yabrán
da Entre Ríos fino ad allora

e, per la prima volta,

presentammo all'opinione pubblica

il misterioso Yabrán.

Per molti, era l'imprenditore principale
dell'Argentina negli anni '90.

Si diceva che il patrimonio di Yabrán
ammontasse a quattro miliardi di dollari.

Ma controllava anche
i settori più sensibili del Paese.

La posta privata tramite l'OCA,
la compensazione bancaria con l'OCASA.

Tutte le attività nell'aeroporto di Ezeiza
e in altri aeroporti del Paese

tramite depositi fiscali con L'EDCADASSA

il carico e lo scarico degli aerei
con l'impresa Intercargo.

I negozi duty-free…

Ogni prodotto che arrivava in Argentina
passava attraverso la macchina Yabrán

senza intermediari.

Aveva un potere assoluto.

SEGRETARIO DELLE COMUNICAZIONI

Il governo procederà per decreto
a privatizzare la posta.

Negli ultimi anni, la polemica
sull'attuazione della privatizzazione

è stata fomentata da Domingo Cavallo,
per evitare che fosse favorito Yabrán.

Il piano è sollevare il problema
del conflitto di interessi.

Da un lato, c'è il signor Yabrán
e gli interessi del suo servizio postale

e dall'altro, ci sono io.

Il presidente Menem

aveva trovato un alleato economico chiave
in Domingo Cavallo.

Dr. Domingo Felipe Cavallo,

giura…

Cavallo aveva una personalità
e un futuro politico

che lui considerava paragonabile
a quello di Menem.

Lo giuro.

Se così non fosse,
dovrà renderne conto a Dio e alla nazione.

Un personaggio estremo
della politica economica.

Il mentore dell'idea di convertibilità,

un escamotage

per contrastare
il problema endemico dell'inflazione.

Collegare, per legge, il peso al dollaro.

DENUNCIA DI CAVALLLO PRIMA DEL CONGRESSO
23 AGOSTO 1995

Tutte queste ipotesi, queste supposizioni

e quasi convinzioni

che il signor Yabrán capeggi una mafia

si sono fatte strada
accumulando informazioni.

Il signor Yabrán voleva distruggere
il servizio postale ufficiale

e voleva monopolizzarlo.

Dopo la denuncia di Cavallo ,
il caso Yabrán

divenne, tra le altre cose,
un tema soprattutto politico in Argentina.

Il problema era il servizio postale
o tutta quella serie di attività

con cui gestiva i depositi fiscali

di tutte le merci in entrata e in uscita,

il carico e lo scarico degli aerei,

i camion postali che circolavano
sulle strade di tutto il Paese?

È un po' più della posta.

È uno stato nello stato.
Una lotta per il potere, non per la posta.

Menem diceva di non sapere
a quali attività si riferisse il ministro.

Andava chiesto a Cavallo.

Chiaramente, c'era una disputa interna.

Domingo Cavallo lasciò il governo.

La rottura tra Menem e Cavallo
fu un momento di svolta.

Niente fu più come prima.

Cavallo si avvicina al rivale
di Carlos Menem, Eduardo Duhalde.

E chiaramente, Domingo Cavallo

divenne non solo un accusatore di Yabrán,

ma anche l'avversario politico di Menem.

Quando il ministro dell'Economia,
Domingo Cavallo, denunciò

che c'era una mafia nel potere

e che il capo di quella mafia
era Alfredo Yabrán,

fu come se si fossero accese
le luci del giornalismo

per vedere chi era questa
persona che non si conosceva.

Per me sono mafiosi. Perché?

Si nascondono.

Non mostrano il loro volto.

Non c'è nemmeno una foto di loro.

Stavo cercando di ottenere
un'intervista con Yabrán.

Lo comunicai al direttore di allora,
Héctor D'amico,

e lui mi disse di ricordarsi

di un giornalista
che secondo lui conosceva Yabrán.

Un paio di giorni dopo,
rispose che Yabrán voleva incontrarci.

Arrivammo a quella
che era la villa di Yabrán.

Ci ricevette
a braccia aperte sul marciapiede.

Ci fa strada verso lo chalet,
uno chalet per gli ospiti.

Cercava di essere molto empatico con noi.

Era particolarmente gentile
e cercava di negare

non solo le nostre indagini,

ma anche le denunce di Cavallo.

Insistemmo per organizzare un'intervista.

Gli dicemmo
di uscire dall'ombra e mostrarsi.

Se non aveva nulla da nascondere,
gli avrebbe giovato.

Disse che non voleva
rilasciare interviste.

Alla fine, lo convincemmo
a rispondere a cinque domande.

Poi gli facemmo una foto.

Allora pronunciò questa frase:

"Scattarmi una foto
è come spararmi in fronte".

E portò la mano alla tempia.

Tornammo in redazione

con un po' di testo,
con alcune citazioni di Yabrán,

ma senza foto.

Nell'estate del '96,

sapevamo già che quell'imprenditore
aveva investimenti a Pinamar.

Dopo la denuncia di Cavallo,

ottenere una foto
del volto di Alfredo Yabrán

era uno degli obiettivi principali.

La casa di Yabrán era piantonata.

Poiché era un amante del mistero,

l'aveva chiamata "Narbay",
cioè Yabrán al contrario.

A metà febbraio,

stavamo praticamente chiudendo bottega

alla fine della stagione con José Luis.

Uno dei miei informatori mi chiama
e mi fa: "Domani arriva lo zio".

Lo zio era Yabrán.

Faceva così tanta paura
che nessuno osava nominarlo.

Con José Luis decidemmo di andare
a casa di Yabrán alle 7:00.

E lo vedemmo arrivare.

José Luis lo fotografò

mentre entrava, ma era di spalle.

Per prima cosa,
una fonte mi aveva comunicato

quali tende aveva prenotato Yabrán
a Pinamar nell'estate del '96.

Un'altra cosa
che mi avevano detto di Yabrán

era che era abitudinario.

Non gli piaceva andare in spiaggia
la mattina. Ci andava alle 16:00.

Ci andammo
con la moglie di José Luis e alcuni amici

e a un tratto arrivò una persona

e piazzò una sdraio davanti alle nostre.

Una donna mi fa:
"Non somiglia a questo tipo?"

E io: "Non è che gli somiglia. È lui".

Restiamo lì a guardare.

Potevamo vedere Yabrán.
Era ben riconoscibile.

Era grosso, tarchiato,
coi capelli bianchi.

José Luis dice: "Non ho l'angolo giusto".
C'era molta gente in spiaggia. Era estate.

Dopo un po', vediamo Yabrán

che cammina con sua moglie

verso nord, dove eravamo noi.

José Luis fa: "Non ho l'angolo giusto".
E io: "Poi dovrà tornare".

Circa 40 minuti dopo,
che sembrarono un'eternità,

lo vediamo tornare.

E appena lo vede, Cristina,
la moglie di José Luis, si mette in posa.

Ma in realtà stava fotografando Yabrán.

Quando José Luis scattò la foto,

capimmo subito
che avrebbe avuto un impatto enorme.

Ci spingeva l'adrenalina

di ottenere qualcosa di unico
che tutti stavano cercando.

E forse non pensammo alle conseguenze.

Io dovevo scrivere
degli affari di Yabrán a Pinamar

e del progetto di realizzazione
di un porto sportivo molto appariscente.

I conti non tornavano.

A Pinamar si parlava di riciclaggio
di denaro del narcotraffico.

Tornammo nell'ufficio
che avevamo a Pinamar

e José Luis chiamò il suo capo
che gli chiese: "Allora?"

"Ho Yabrán
che cammina in spiaggia con la moglie."

Noticias era in fermento.

Il rullino partì per Buenos Aires
per lo sviluppo.

Io fui il primo a vedere i rullini.

Vidi la foto e dissi: "Ottima foto".

Perché era fantastica. Molto chiara,
nitida, con uno sfondo sfocato.

Due settimane dopo,
Noticias esce con quella copertina

dal titolo "Yabrán colpisce ancora"
e Yabrán in copertina.

Fu una rivoluzione nel giornalismo.

Era la foto che tutti cercavano.

L'estate successiva,
quella tra il '96 e il '97,

Yabrán era, ovviamente,
ancora un tema da seguire.

Tornammo a Pinamar
con un obiettivo ben preciso,

ovvero la possibilità

di intervistare Yabrán

"con tutti gli annessi e connessi",

cioè con una foto, un articolo e così via.

José Luis arrivò
intorno al 15 dicembre 1996

e io verso il 20.

Al mio arrivo, mi fa: "Una fonte
mi ha detto che gli uomini di Yabrán

mi hanno cercato a Buenos Aires".

Per me, quella storia era la fine.

Non mi ricordo specificatamente

che José Luis mi abbia detto:
"Mi minacciano".

Quel che so

è che non si sentiva proprio a suo agio

per come si erano messe le cose
dopo la foto dell'estate precedente.

Il caso non era chiuso.

Una volta,
mentre José Luis e Gabriel erano in giro,

qualcuno squarciò
una delle gomme della loro auto.

Portammo la gomma a riparare

e quando la riprendemmo, il gommista
disse: "L'hanno fatto apposta".

Gabriel Michi venne a sapere
che Yabrán era in una steak house.

Era noto che Yabrán andava
in giro con molte guardie del corpo.

Gabriel ce lo confermò

quando, nel tentativo di intervistarlo,

si scontrò duramente con quelle guardie.

Questo poteva aver dato l'impressione
che ci fosse qualcosa

di grave, o che potesse esserci
qualcosa di grave,

che incombeva sul lavoro
di Noticias a Pinamar.

Sapevamo che le guardie del corpo
di Yabrán erano piuttosto aggressive,

ma l'adrenalina per andare avanti

e, in un certo senso,
smascherare chi era Yabrán,

era più forte della paura.

Forse era irrazionale, no?

E forse, col senno di poi,
viene da dire: "Erano pazzi".

Ma non era ancora successo nulla.

Yabrán aveva una scorta militare
composta da centinaia di militari

che prestavano servizio in varie aziende
di Yabrán, ma c'erano 20 o 30 persone

incaricate della sicurezza personale
di Yabrán.

E in questa cerchia interna c'erano
i repressori della dittatura militare.

Buonasera.

20 MARZO 1997

- Buonasera.
- Buonasera.

Sig. Yabrán, per anni ha mantenuto

un profilo non solo basso,
ma quasi inesistente.

L'enigmatico Yabrán.

E ora, a un tratto,

sta invertendo la sua strategia.
Perché ora?

Era inevitabile che si parlasse di lui.

E di sicuro è per questo che decide

di costruire
la sua propria narrazione su di sé

per contrastare quella di Domingo Cavallo.

Domingo Felipe Cavallo

vuole far credere a tutti noi argentini

che

ci troviamo
in un film americano di gangster

con una fortezza in cui vive un mafioso,

con…

un esercito di guardie del corpo private

e con dei contatti con il governo.

In breve,

uno stato nello stato.

Yabrán inizia
a fare apparizioni pubbliche.

Non rilascio dichiarazioni.
Mi spiace molto per il caso Cabezas.

Perché le sue guardie non sono sospettate
dell'omicidio di Cabezas?

- Io non ho guardie. Vede delle guardie?
- L'hanno scortata in aula.

Curiosamente, cercando di riabilitarsi,

finisce per dire o fare qualcosa
che complica la situazione.

Si fa intervistare da Clarín.

A un certo punto,
le hanno chiesto cos'è il potere.

E lei ha risposto:

"Il potere è avere l'impunità".

Esatto.

Dico sempre che questa è la frase
che descrive al meglio Yabrán.

Se c'è una frase che lo definisce,
è quella.

Innanzitutto, indubbiamente,

come ho detto,
non sono pronto a rispondere

a cinque giornalisti.

E poi, devo confessarle, in tutta onestà,

che quando ho detto
quelle cose sui potenti,

pensavo a Cavallo.

È lui l'impunito.

Il 9 aprile 1997,

ricevo una telefonata dalla rivista.

Mi dicono:
"Pare che abbiano una pista valida".

Circa due o tre mesi dopo il fatto,

mi contatta il senatore Martínez.

Mi fa: "Non dormo più. Devo parlarti".

"Vieni a trovarmi a San Vicente".

Ho una casa di campagna lì e lui venne.

Mi dice:

"Il mio autista,

il giorno dopo l'uccisione di Cabezas,
mi disse che sapeva chi era stato".

Beh, rimasi scioccato.

Allora gli dico:
"Carlos, facciamo una cosa.

Se il tuo autista ti ha detto così,
portalo da me.

C'è una ricompensa di 600.000 dollari".

"Non vuole. È terrorizzato.

Dice che preferisce
lasciare il lavoro qui in provincia,

ma non vuole saperne nulla
perché ha molta paura."

Allora abbiamo iniziato a pensare
a come farlo parlare.

Calcio di rigore per l'Argentina.

Quel giorno,
giocavano Argentina e Bolivia.

Dico: "Portamelo.
Vieni con lui. Era il tuo autista".

Così venne e cominciammo
a guardare la partita,

a bere del vino e a chiacchierare.

Poi cenammo

e, durante la cena,
quel ragazzo iniziò a rilassarsi.

Alla fine, mi disse che voleva
restarne fuori, ma mi raccontò tutto.

Ma non sapeva che lo stavamo filmando.

Duhalde chiama la famiglia

e anticipa che sarebbe andato a Dolores

e avrebbe portato il dossier
con i presunti responsabili.

Fu allora che le cose iniziarono
a precipitare, con l'avvocato Vecchi

che cercava di smontare
la pista dei Pepitos.

Duhalde mi ha detto:

"José Luis non tornerà,

però le dirò chi l'ha ucciso".

E l'ha fatto.

Il governatore era il più interessato
a risolvere il caso.

Si vedeva che aveva
quella premura tipica dei tempi politici,

specie perché stava iniziando
la sua campagna presidenziale.

Quindi aveva un interesse personale.

Il suo intervento fu importante,

soprattutto per l'entrata in scena
degli imputati di Los Hornos.

Sono entrato in contatto con una persona,
solo con una persona,

e col suo accompagnatore,
che mi ha spiegato cos'è successo.

Erano spuntate quattro persone
appartenenti alla banda di Los Hornos,

composta da

Auge,

Retana,

González

e Braga.

Questi individui

avrebbero partecipato al delitto

e non erano mai stati convocati
durante le indagini.

Los Hornos è a circa dieci minuti
dal centro di La Plata.

È un quartiere di case precarie
e di poveri.

Erano di un quartiere disagiato,

tutti ultrà
della squadra Estudiantes de La Plata.

Si erano persino vantati

di aver commesso
dei crimini contro altri tifosi.

Tuttavia, vari testimoni dicevano
di averli sentiti confessare il crimine.

Quei testimoni furono determinanti
per il loro arresto.

Retana, pensi che sarai scagionato?

González, stai subendo pressioni?

Al momento delle dichiarazioni,

con grande sorpresa di tutti,

tutti i giovani di Los Hornos

confessarono di aver partecipato
al delitto.

Le loro confessioni erano insolite.

Confessare un crimine non è normale.
È una cosa molto rara.

CONFESSIONE DI UNO DEGLI ARRESTATI
PER IL CASO CABEZAS

Confessarono parecchi precedenti

e di essere agli ordini
di Gustavo Prellezo.

Prellezo era un agente di polizia
che viveva a La Plata.

Li aveva reclutati
e aveva affidato loro l'incarico.

Gustavo Prellezo era stato
vice commissario della polizia di Pinamar.

Dichiararono:

"Prellezo ci ha portati a Pinamar
per minacciare un giornalista".

Perché hai portato quei ragazzi
sulla costa?

Non sento niente!

Perché hai portato quei ragazzi
sulla costa?

Li ho portati in vacanza,
non come banda.

E allora perché hanno ucciso Cabezas?

Chiedilo a loro.

- Ma tu eri lì.
- No, non c'ero.

- E perché danno la colpa a te?
- Pensi che si accuserebbero?

L'accusa si estese ad altri agenti
che collaboravano con Prellezo.

POLIZIA DI BUENOS AIRES

Coinvolse Camaratta,

comandante di Valeria del Mar,
presso Pinamar.

Era stato lui a sistemarli

in un appartamento.

Poi venne fuori il legame con Luna,

in forze al commissariato di Pinamar,

che aveva partecipato e collaborato

al tracciamento, l'identificazione
e le fasi preliminari.

SI PREVEDE L'ARRESTO
DI ALTRI AGENTI DI POLIZIA

Arrestata anche
Silvia Belawsky de Prellezo,

un'altra detective della polizia
della Provincia di Buenos Aires.

Silvia Belawsky era

l'ex moglie di Prellezo.

Avevano una figlia.

Anche lei era una poliziotta

e viveva a Los Hornos.

Aveva chiesto a un collega

di controllare
la fedina penale di Cabezas

nel database
della Provincia di Buenos Aires.

Una cosa estremamente sospetta.

Era noto che il gruppo di Los Hornos

fosse direttamente collegato alla polizia.

José Luis Cabezas aveva scattato
due foto molte simboliche:

la foto di Klodczyk,
quella di "Maledetta polizia",

e quella di Yabrán
sulla spiaggia con la moglie.

Entrambe le foto diventano simboli.

Ognuna di queste riguarda
una sfera del potere diversa.

Da qui la confusione iniziale.
Yabrán o "Maledetta polizia"?

Le manette erano
un messaggio del colpevole.

Beh, c'entrava la polizia.

Da una parte c'era Yabrán
e dall'altra

il caso di "Maledetta polizia".

Quella pista puntava più verso Duhalde.

Lo staff di Noticias mi chiama molto tardi

e dice: "Duhalde vuole parlare con te,

ma solo ed esclusivamente con te".

Così vado e a un certo punto mi chiede:

"Cosa ne pensi?
Chi c'è dietro questo crimine?"

E io dico:

"Per me, o è stata la polizia
di Buenos Aires o Alfredo Yabrán".

E lui: "No.

Io penso che sia stato Yabrán".

Duhalde aveva urgente bisogno

di rafforzare la pista di Yabrán,

anche per il conflitto
che aveva con Menem.

Spero che non sia un capro espiatorio
per consentire al governatore

di risolvere il caso e proseguire
con la campagna presidenziale.

Nulla di ciò che dicono sarà creduto.
Almeno non credo.

Lo fanno per distrarre la gente,
per intrattenerla,

quindi pensiamo che sia finita,
ma non credo che sia così.

A quel punto, la Corte d'Appello

stava liberando
gli imputati di Mar del Plata

quando vide spuntare un altro gruppo

che si stava assumendo la responsabilità.

Le tue prime parole in libertà?

Perché Redruello ti ha coinvolto nel caso?

Perché?

Come avrei fatto? Non ho mai conosciuto
nessun giornalista o fotografo.

Eravamo innocenti. L'abbiamo urlato.
E ora tutti sanno che eravamo innocenti.

Spero che, non lo so…
che venga fuori la verità per questo caso.

È così che si va completando il quadro

e si dimostra il vero coinvolgimento
della banda di Los Hornos.

Iniziarono a dare informazioni

che avrebbero potuto sapere
solo se fossero state lì.

Quelli di Los Hornos dissero

che Prellezo gli aveva sparato due volte.

Fino a quel momento, non si sapeva

che José Luis fosse stato colpito
due volte alla testa.

Per la prima autopsia era uno.

Quindi chiesero di ripetere l'autopsia.

E la seconda autopsia
rileva un altro foro.

SECONDO FORO

Fu confermata la versione
della banda di Los Hornos.

Dissero che sulla via del ritorno
avevano preso la fotocamera di Cabezas

e l'avevano lanciata in uno
dei tanti corsi d'acqua sulla strada.

Quel mattino, sentimmo
che avrebbero potuto esserci

novità sulla fotocamera.

Stavo per andare in diretta

per raccontare il lavoro
dei sommozzatori e della polizia.

C'era uno spettacolo incredibile
nella laguna.

E dopo infinite ricerche,

finalmente spuntò fuori

e fu identificata subito

dagli adesivi.

Vediamo che ci sono gli adesivi.

Si possono osservare nella fotocopia

e qui sulla fotocamera
che hanno appena recuperato.

La girano e vedo

gli adesivi dei figli di José Luis.

Fino ad allora
avevamo solo descritto quella fotocamera,

ma non l'avevamo vista.

Mi intristii. Mi sembrò tutto chiaro
e capii che non era solo un caso.

Era una storia di vita.

Era un essere umano che era stato ucciso
mentre lavorava in piena democrazia.

Con tanto formaggio grattugiato.

Lo uccisero così.

Strapparono un padre ai suoi figli.

Il caso Cabezas…

Il caso, giusto?

Non è un caso.

È lui.

Diciamo che l'indagine si sta avviando
verso il chiarimento di tutti i fatti.

Compresi gli ideatori?

Sembra che il caso
sia praticamente risolto.

Prellezo doveva avere un movente.

Perquisiscono casa sua
e sequestrano alcuni oggetti,

fra cui un'agenda personale.

Ed ecco che appaiono
i legami tra Prellezo e Yabrán.

Quei legami erano criptati,
e questo aumentò i sospetti.

Perché nascondere i loro rapporti?

E spunta il biglietto da visita di Yabrán
tra i suoi effetti personali,

coi numeri di Yabrán scritti a mano.

Avevamo un'arma letale contro di loro,
lo ammetto.

Non avrebbero mai immaginato
che avremmo trovato una cosa simile.

Credo sia stato il primo caso,
almeno in un'indagine penale

del Dipartimento di Dolores,

in cui si indagò
sulle comunicazioni telefoniche.

E forse questo li prese alla sprovvista.

Questo è il famoso bunker di Castelli,

dove alloggia e lavora
ogni giorno Excalibur,

con i detective
coordinati da Victor Fogelman.

Il sistema Excalibur
era stato testato con successo

in varie indagini dell'FBI.

Riuscirono a rappresentare e visualizzare
le telefonate in un modo nuovo.

E riuscirono,
attraverso un sistema computerizzato,

a ricollegare quei telefoni.

CHIAMATE IN USCITA

Cominciarono ad apparire
i primi contatti di Gustavo Prellezo

con varie persone
del commissariato di Pinamar.

E inizia ad apparire ripetutamente
un numero di telefono.

Era un cellulare non identificato.

Scoprono che era registrato
con il nome di Bridess.

Bridess era una società di sicurezza

madre di tutte le società di sicurezza
del gruppo Yabrán.

Scoprono che il numero di telefono
a nome di Bridess

veniva usato da Gregorio Ríos,
capo della sicurezza domestica di Yabrán.

Gregorio Ríos era un sottufficiale
dell'esercito in pensione.

Una persona
di cui Alfredo Yabrán si fidava.

L'incrocio delle chiamate

permise di stabilire che Gregorio Ríos

chiamava di più il commissariato
di Pinamar che ogni altra centrale.

In prossimità dell'omicidio,
le comunicazioni aumentarono.

Sempre di più.

Negli ultimi giorni ci fu
un numero enorme di chiamate

sui movimenti di Michi e Cabezas

che volevano solo una foto.
Erano alla villa…

Il giorno in cui ci avvicinammo
a Yabrán,

ci furono tante chiamate
della sicurezza di Yabrán,

che ci sorvegliava da un appartamento,

al commissariato di Pinamar,

a Yabrán e a Prellezo e la banda.

Era una specie di gioco
al gatto e al topo.

Mentre li seguivano,
erano seguiti a loro volta.

Questo non successe
ai tempi del pezzo sulla polizia,

ma quando ci avvicinammo a Yabrán.

E dopo l'omicidio,
si interrompono tutte le chiamate.

Dopo l'omicidio, non parla più nessuno.

Sono le 15:45. Sta arrivando
l'imprenditore Alfredo Yabrán

al tribunale federale di Dolores.

C'è un trambusto incredibile.

L'ORA DELLA VERITÀ DI YABRÁN

Per noi era impossibile
non chiamare Yabrán

per chiedergli perché,

così avrebbe potuto difendersi
e spiegarci.

Volevamo scoprire
cosa c'entrasse con Prellezo.

Alfredo Yabrán sta uscendo come promesso.

La sua prima dichiarazione fu informativa.

Provocò anche un enorme shock.

Fu una delle poche volte
in cui comparve in tribunale.

- Alfredo Yabrán.
- Yabrán.

Yabrán ovviamente doveva difendersi.

Doveva dimostrare
che non c'entrava niente con quel delitto.

Cosa dirà a Macchi, Yabrán?

- Ci parli.
- Yabrán entra.

Ricordo perfettamente
la sua lunga dichiarazione.

Si presentò in un modo
molto rispettoso ed educato.

Sembrava un uomo molto semplice,

molto amichevole.

Trattava tutti con rispetto.

La sua dichiarazione non lasciò
molti vuoti.

Rispose a tutte le domande.

E sembrava disposto
a sottoporsi al procedimento penale.

Il contributo di Excalibur alle indagini

finì per essere
uno dei fattori principali del caso

perché confermò
tutto ciò che era stato negato.

E molto altro.

PIÙ CONTATTI TRA YABRÁN E IL GOVERNO

Chiedemmo i tabulati telefonici di tutti,

soprattutto dei telefoni collegati
ad Alfredo Yabrán come imputato.

Alcuni arrivarono e fra quelli

trovammo un numero enorme di chiamate
al Ministero di Giustizia.

Si scoprì che era in contatto
con quasi tutti i membri

del governo di Menem.

Era in contatto con procuratori,

funzionari, ministri, la Casa del Governo…

Non era più un caso

in cui un imprenditore
senza legami politici

aveva un problema con i giornalisti.

IL GOVERNO RIVELA
I RAPPORTI CON YABRÁN

Tutti sapevano

che era vicino a Menem, il presidente.

Era stato alla Casa del Governo.

C'era andato anche una volta
durante le indagini.

Dopo il mandato di arresto del 20 giugno,
poco dopo Yabrán fu ricevuto

dal ministro di massimo rango
della Casa del Governo,

il capo di gabinetto.

Yabrán fu ricevuto alla Casa Rosada

e fotografato con uno dei volantini
con la scritta "Non dimenticate Cabezas",

nel pieno delle manifestazioni
che chiedevano giustizia.

Tutto questo è uno schiaffo per il popolo.

- Una vergogna.
- Manifesta anche lei?

- Certo.
- Suona!

Questa gente viveva in una bolla.
Riceveva una persona accusata

di uno dei crimini peggiori
per la democrazia

nella Casa del Governo,

avallando così l'innocenza

di un indagato con un sacco
di presunzioni di colpevolezza.

Chiaramente, quell'incontro
non aveva altro scopo

che segnalare al pubblico
che quella persona

era protetta dal governo nazionale.

Assassino!

Figlio di puttana!

- Assassino!
- Assassino!

RÍOS VIENE ARRESTATO

Il fatto è che, fino a settembre,

quando fu arrestato Ríos,
non fu mai ufficializzato

che la corte concordava
con la nostra teoria principale,

ovvero che si trattava di una banda
legata a Yabrán, direttamente o no.

…di Buenos Aires.

La presenza permanente di Gregorio Ríos,

il capo della sicurezza di Alfredo Yabrán,

nel mezzo di entrambi i contatti,
insieme alla storia di Yabrán,

poteva essere l'ipotesi centrale.

YABRÁN AMMETTE CONTATTI CON PRELLEZO

Yabrán ammise di aver incontrato Prellezo.

Gli chiesero il perché.

"Perché quest'uomo voleva vendermi
un sistema di allarme per Pinamar,

così gli dissi di parlarne con Ríos
e voleva augurarmi buon anno".

Sì, Prellezo ammette il legame con Yabrán.

Hai ucciso Cabezas!

In un incontro con Alfredo Yabrán
prima dell'estate, aveva detto

che voleva passare un'estate tranquilla,
riferendosi ovviamente

a ciò che considerava molestie
dei giornalisti come l'estate precedente.

Si erano accumulate diverse prove

sul possibile coinvolgimento
di Yabrán come istigatore del delitto.

E mentre si accumulavano le prove,

la mia impazienza tipica dei giovani

mi portò a dire:
"Macchi, abbiamo… moltissimo materiale.

Basta per emettere un mandato d'arresto.
Non le pare?"

E lui: "C'è tempo per arrestarlo".

Assistemmo a vari capovolgimenti.
La causa ebbe molti momenti morti.

Sembrava essersi impantanata.

Pensi che non vogliano la verità?
L'ho sentito in TV. C'è un tira e molla.

- Qualcuno lo copre. Non credi?
- Sì.

- Sì. Te l'ho già detto.
- Non vogliono la verità?

L'istigatore, o autore morale,
sta lavorando per tenerlo nascosto.

Dev'essere potente.

Spero che gli assassini
di José Luis vengano arrestati.

E quando dico "assassini", intendo tutti.

Di chi l'ha ideato. Di chi l'ha eseguito.

Di chi ha partecipato. Di tutti.

Lo dicono tutti.
Lo dice tutto il mondo.

Cammino per strada
e tutti dicono: "È Yabrán".

Chiedevamo misure continue e insistevamo
perché Yabrán fosse arrestato

e indagato.

Ma non successe fino all'arrivo

di Silvia Belawsky.

Silvia Belawsky,

all'epoca, era la moglie
del principale sospettato, Prellezo.

Il 15 maggio 1998

prende una decisione
di cui ignoro le motivazioni,

ma non era certo facile.

Con nostra sorpresa,
mentre l'indagine andava avanti,

a un certo punto la sua difesa le chiese
di ampliare la sua dichiarazione.

Quando stava per testimoniare,

mi ricordo perfettamente

l'attesa di sapere
se avrebbe parlato o no,

che cosa avrebbe detto
e quali informazioni aveva.

Essendo la moglie di Prellezo

e dopo le sue ricerche su Cabezas,

pensammo che ci fosse
dell'altro da dire su quel legame.

Stavo per…

AGENTE POLIZIA DI BUENOS AIRES

…spiegare alcune cose.

Mi passavano tante cose per la testa.

E, beh…

Successe quello che successe
e dissi quello che sapevo.

C'È YABRÁN DIETRO A TUTTO

Disse che gliel'aveva detto suo marito.

Era stata una richiesta di Yabrán.

Gregorio Ríos aveva affidato loro
quel lavoro

e dovevano farlo.

NON TI AZZARDARE AD APRIRE BOCCA

Illustrò chiaramente il rapporto
di Prellezo con Yabrán.

E in modo molto conciso,

diede a intendere
che l'ordine di aggredire Cabezas

era arrivato dall'imprenditore.

Questa, forse, fu
la dichiarazione più importante

e portò al mandato d'arresto
per l'imprenditore Yabrán.

Risultò così convincente

che il giudice alla fine
emise un mandato d'arresto.

RICHIESTO MANDATO PER L'ARRESTO DI YABRÁN

Fecero varie irruzioni,
ma non trovarono Yabrán.

Quando mi dissero che era fuggito,

dissi: "Come fa a scappare?
Deve testimoniare".

IRRUZIONE IN CASA DI YABRÁN
IMPOSSIBILE ARRESTARLO

Volevamo sapere
perché gli avevano fatto questo.

Perché fare una cosa simile?

NUOVI FALLIMENTI NELLA RICERCA DI YABRÁN

Mi chiamò Duhalde
e mi disse: "Cos'è successo?"

Non lo so.

"Come andrà a finire?"

"Deve trovarlo la polizia.

Lei è il capo della polizia.
Vada a cercarlo con l'FBI o che so io."

YABRÁN È ANCORA IN FUGA
E L'INTERPOL LO CERCA

Era impossibile che Yabrán,
ricercato dal tutto il Paese,

fosse nei luoghi delle irruzioni.

Chiunque avrebbe pensato

che, coi suoi mezzi,
il suo potere, i suoi contatti,

sarebbe riuscito a nascondersi in un luogo
che non prevedeva l'estradizione.

Nelle piccole città, non si passa
molto tempo senza informazioni.

Controllammo tutte le fonti utili

finché non scoprimmo
che Yabrán era al ranch di San Ignacio

e forse progettava la fuga.

Vidi dei movimenti

che mi confermarono la presenza di Yabrán.

Rimasi lì tutta la notte

e il giorno dopo aspettai la polizia.

Da quel momento,
iniziai a descrivere cosa succedeva.

Siamo in diretta dal ranch di San Ignacio.

Stanno cercando
l'imprenditore Alfredo Yabrán.

Vidi uscire molte unità

e iniziai a vedere un certo nervosismo.

Sono state eseguite delle perquisizioni,

come possiamo vedere, nel ranch

dove il giudice Macchi ritiene
possa trovarsi l'imprenditore.

Era evidente che Yabrán fosse lì.

Però non lo videro.

Cercarono ovunque.
La suite era chiusa a chiave.

Si annunciarono a quella porta chiusa

e chiesero se c'era qualcuno.

Non ricevendo risposta,
cercarono di aprire la porta.

E mentre ci provavano…

si sentì uno sparo dall’interno.

Proprio in questo momento,

come notizia dell'ultima ora
per l'intero Paese,

siamo in grado di confermare

che Alfredo Yabrán si è sparato
in bocca con un fucile.

YABRÁN SI È SPARATO

YABRÁN SI È SUICIDATO

ALFREDO YABRÁN È STATO TROVATO MORTO
FRA LO STUPORE GENERALE

YABRÁN È MORTO DAVVERO?

SUICIDIO MESSO IN DISCUSSIONE

All'inizio ci furono dei dubbi
perché molti media

non credevano che fosse Yabrán.

Per me è vivo.

- Nascosto da qualche parte?
- Di sicuro.

A molti chilometri da qui,
su un'isola caraibica.

Sotto il letto.

- In una fossa biologica.
- Dietro un mucchio di soldi.

È difficile pensare

che una persona
con così tanti soldi si sia suicidata.

Per metà dell'opinione pubblica
Yabrán era ancora vivo.

SI CONTINUA A FARE IPOTESI SUL SUICIDIO

Nacque una leggenda sulla morte di Yabrán.

COSA GLI È SUCCESSO?

Si dice che qualcuno si sia immolato

per consentirgli di godersi

qualche spiaggia paradisiaca chissà dove,

lontano dalla sua adorata famiglia.

CHI CI CREDE?

Se chiediamo a qualcuno
se crede che sia morto dirà:

"Macché, starà prendendo il sole".

Non pensavo che finisse così.

Non lo credevo, ma è finita così.

Ha preso quella decisione
perché era stato messo all'angolo.

Appena 50 persone

accompagnano la bara
con le spoglie dell'imprenditore.

Un po' di rispetto per il morto.

Questo è giornalismo?

- E poi volete rispetto per Cabezas!
- Stampa schifosa!

Cabezas se l'è guadagnato!

- E lo rispettiamo.
- Io rispetto Yabrán.

- Se l'è guadagnato.
- Stiamo lavorando.

Copri le telecamere.

- Zitto!
- Attenta alle telecamere.

Si chiude un'altra fase con la notizia
più scioccante degli ultimi tempi.

La scomparsa di un uomo potente

che ha deciso
di sottrarsi alla giustizia terrena.

YABRÁN HA SCRITTO LE LETTERE D'ACCUSA

In una delle due lettere
che ha lasciato,

avrebbe accusato due politici.

Vostro Onore,
davanti a questa mole di condanne

orchestrate dal grande Domingo F. Cavallo,

in combutta con i politici senza scrupoli

impegnati a fare di Duhalde
il padrone della verità e del Paese…

La lettera era datata il giorno prima
e firmata sopra, per fugare ogni dubbio.

Fa dei riferimenti politici a due persone

con cui aveva continuamente problemi.

E finisce dichiarandosi innocente
per l'omicidio di Cabezas.

Perché ha preso una decisione simile?

Per dignità. L'hanno messo alle strette.
Ha dei figli, una famiglia, come Cabezas.

Non si è fatto ammanettare,
specie dal governatore.

Ha fatto tutto lui.

Ma vogliamo sapere
chi ha ucciso il vostro collega,

il sig. José Luis Cabezas,

e quali sono stati i motivi

che hanno portato
al suicidio del sig. Yabrán.

Stiamo indagando.

È una cosa

che trasformerà questo episodio
in uno dei più oscuri della nostra storia.

La verità è
che all'inizio ero molto scettico.

Tutti dicevano:
"Uno come Yabrán non si uccide".

Indagando sul caso,

parlando con i testimoni

e analizzando i movimenti
nel suo ambiente dopo il crimine,

alla fine mi convinsi
che si fosse suicidato.

Restava da capire perché.

Yabrán si suicida semplicemente
perché stava per essere arrestato.

Non significa che si sia ucciso

necessariamente perché era colpevole.

Il governo di Menem difese

fino alla fine
l'innocenza di Alfredo Yabrán.

Sembra chiaro
che qualcuno abbia smesso di proteggerlo.

Gli dissero: "È giunta la tua ora".

Non c'era modo di far capire alla gente
che anche i ricchi possono spararsi.

Anche le persone potenti
a volte vengono messe all'angolo.

Immaginarsi di entrare in manette,

davanti a tutti,

in una prigione
della Provincia di Buenos Aires,

una provincia governata
da Eduardo Duhalde,

era umiliante e pericoloso.

Io propendo per la teoria del suicidio

legata al particolare profilo psicologico
di Yabrán.

14 DICEMBRE 1999

Dolores sembrava ripiombata nel passato.

La città era di nuovo piena di volanti
e di agenti penitenziari

come all'inizio del caso, tre anni prima.

Cosa sarà passato
per la testa di Norma e José,

seduti nella stessa stanzetta

degli assassini del figlio,

in attesa di una sentenza?

Tutti sapevano che l'opinione pubblica

aspettava che si facesse chiarezza

e nel modo più completo possibile.

Per favore, chiedo la parola
perché ha appena parlato di me.

Sì, ora…

- Dice che potrei…
- Sì.

Fu decisamente scioccante

trovarsi faccia a faccia con loro.

Ricordo che ce n'era uno
che mi fissava con aria di sfida.

General Madariaga, stesso nome,
Provincia di Buenos Aires,

Il 25 gennaio 1997,

alle 8:20 del mattino…

C'era una sedia vuota,

perché, sfortunatamente,
non avevamo l'autore morale

che aveva ordinato
al suo capo della sicurezza

di sbarazzarsi di tutti i giornalisti
quell'estate.

Alfredo Yabrán.

È stato stabilito che,
all'interno della fossa

e col retro rivolto verso la strada,
c'è un veicolo.

Un veicolo completamente bruciato.

Cercavamo spiegazioni

e i responsabili dell'atroce omicidio
di José Luis Cabezas.

E c'era odore di carburante.

Cosa gli avevano fatto,
come l'avevano trattato e bruciato…

Volevamo chiarezza.

CORTE D'APPELLO

Sia messa a verbale
la deposizione di Michi.

All'alba del 25 gennaio,

stavamo documentando la festa di Andreani.

Sarebbe stato logico lasciare
la festa insieme a José Luis.

Continuo a pensare la stessa cosa:

se fossimo stati insieme,
avremmo fatto entrambi quella fine.

Non c'è dubbio.

Dicono che erano a una festa

ma che non fu lì che rapirono Cabezas

come avevamo ipotizzato tutti.

Lo seguirono.

Quando José Luis arrivò a casa,
si diressero verso la portiera.

Erano armati. Lo presero da dietro.

Lo picchiarono e lo misero
dentro la nostra Ford Fiesta bianca.

Era a non più di sette o otto metri
da sua moglie.

Forse se avesse urlato,

lanciato un minimo allarme o segnalato

che era in pericolo,
la moglie l'avrebbe visto.

Percorsero la strada
che porta alla fossa di General Madariaga.

Sappiamo che il corpo di José
aveva molte ferite,

quindi per strada
l'hanno torturato, colpito, picchiato.

Prellezo scende dall'auto.
È a capo di tutta l'operazione.

Fanno scendere José Luis.

Prellezo lo mette
contro la parete in fondo alla fossa

e gli spara due volte in testa.

Dopo avergli sparato,

decide anche di dare fuoco all'auto

nella stessa buca
in cui è stata ritrovata.

Gustavo Prellezo ha coordinato
il rapimento di José Luis.

L'ha fatto su ordine di Gregorio Ríos,
capo della sicurezza di Yabrán,

e di Alfredo Yabrán.

Quando escono dalla buca,

la banda di Los Hornos menziona
una chiamata fatta da Prellezo.

Prellezo a quanto pare
chiama Luna al telefono

e dice: "Buon compleanno".

Stranamente,
non era il compleanno di Luna.

Voleva dire "missione compiuta".

Buongiorno.

Il 2 febbraio del 2000,
arrivò finalmente la sentenza.

Furono condannati tutti.

Condanniamo Gustavo Daniel Prellezo
all'ergastolo.

Gregorio Ríos,

come istigatore dei crimini…

Furono condannati all'ergastolo.

Ergastolo per tutti i poliziotti

e prigione a vita per i civili.

Inflitta la pena massima

prevista dal codice penale agli ex agenti
Prellezo, Camaratta e Luna.

Ai tre giudici non importava
chi avesse premuto il grilletto.

Il fatto che fossero lì
li rendeva tutti complici del delitto.

ERGASTOLO PER GLI ASSASSINI DI CABEZAS

Iniziai a piangere. Mi fece male.

Non ero solo arrabbiata, ero addolorata.

Ma sono molto arrabbiato e li odio.

Assassini!

Avete avuto ciò che meritavate!

Argentina!

DICEMBRE 1999

Nel dicembre del 1999,
ci furono le elezioni

e non vinsero né Duhalde né Menem.

Vinse de la Rúa.

Don Fernando de la Rúa.

Credo che la verità
sull'uccisione di Cabezas

abbia cambiato
il senso della politica futura.

Anche se fu un atto criminale,

la sua importanza

lo trasformò in un caso politico chiave.

Fu la fine politica del governatore.

Non solo perse le elezioni,
ma anche se stesso.

Non poteva più aspirare
alla carriera che aveva desiderato.

Se, da un lato,
la società iniziò a vedere la corruzione

e l'entità dello squallore
delle autorità politiche,

dall'altro capì quanto fosse indifesa.

Giustizia!

- Cabezas!
- Presente!

Le proteste contro l'omicidio di José Luis

assunsero una dimensione diversa.

Quelle rivendicazioni
racchiudevano tutte le ingiustizie

della società argentina.

Prima dell'omicidio di Cabezas,

erano accaduti altri fatti terribili,

come l'omicidio di María Soledad Morales…

l'attentato
all'ambasciata israeliana e all'Amia…

l'omicidio del soldato Carrasco,

l'esplosione a Río Tercero,

la morte di Carlos Menem Jr.

avvenuta in circostanze poco chiare…

Tutto ciò fu la goccia

che fece traboccare
il vaso pieno di marciume

e tutto il popolo disse: "Basta".

Dopo Cabezas, in molte altre occasioni
la gente scese in strada

a chiedere di cambiare l'esito
di questi eventi. Successe varie volte.

DICEMBRE 2001

NON DIMENTICATE CABEZAS

L'omicidio di José Luis Cabezas sintetizzò
tutto il malessere dell'Argentina.

Visti i fatti,
le condanne non furono lievi

ma lo fu la loro applicazione

perché gli assassini
finirono per uscire prima del tempo.

Qualche anno dopo,
una sentenza vergognosa

della Cassazione
della Provincia di Buenos Aires

ridusse loro la pena

e, da allora, entro sette o otto anni,

iniziarono a uscire

e oggi sono tutti liberi.

E sono un pericolo per la società.

NON DIMENTICATE CABEZAS

Mai più.

Che i genitori non soffrano più
per i loro figli come noi.

A volte ho la sensazione
che apra la porta e dica:

"Mamma, non era mio
quel corpo bruciato. Eccomi".

Avrei voluto che José Luis
fosse conosciuto

per quello che era.

E non per quello che è successo.

Non per questo.

Non avrebbe mai immaginato
la causa della sua morte.

Era un tipo normale.
Faceva i pezzi che volevamo

e dava il meglio di sé.

Lavorava e faceva tutto
come meglio poteva.

È questo il ricordo che ho di lui.

Il ricordo di José Luis Cabezas
è una specie

di musica di sottofondo
che mi accompagna.

Ogni giorno della mia vita, anche solo
per un minuto, penso a José Luis Cabezas.

Non è un eroe o un santo.

È una lezione.

Il senso di ciò che è giusto
e ciò che non lo è.

Il senso

di cosa significa
fare il giornalista e a cosa serve.

Per noi giornalisti,
che entriamo e usciamo da tante vite

quando succede qualcosa,
quando c'è un anniversario,

è una cosa.

Ma quando sei vicino
a una famiglia che soffre,

capisci che quello che per noi è notizia,
per loro è tragedia quotidiana.

È il piatto che manca sul tavolo…

i vestiti che i suoi hanno tenuto per anni

per ricordarlo.

È quell'orribile assenza
che è nella loro vita di tutti i giorni.

Non sono solo notizie.
Sono persone. Sono storie.

E potrebbe essere ognuno di noi.

A chi amava José Luis,

ovviamente,
la sua assenza fa molto male.

Ma ai suoi assassini,

farà sempre male la sua presenza.

MONUMENTO A JOSE LUIS CABEZAS
FOSSA DI GENERAL MADARIAGA

La banda di Los Hornos,
González, Auge, Braga e Retana,

fu condannata all'ergastolo.

Uscirono tra il 2004 e il 2007,

sfruttando la legge
di riduzione della pena nota come "2x1".

Retana morì in prigione nel 2001.

Gregorio Ríos, il commissario Gómez
e gli agenti Prellezo, Luna e Camaratta

ebbero l'ergastolo.

Dopo molti benefici ricevuti,
furono tutti rilasciati.

Camaratta morì in prigione nel 2015.

L'ex agente Belawsky fu assolta,

ma fu condannata a quattro anni
per frode connessa al veicolo usato.

Dopo averli scontati,
uscì nel febbraio 2000.

Prellezo si è laureato in legge.
Nel 2017, è uscito in libertà vigilata.

Le denunce della famiglia Cabezas

gli hanno impedito di esercitare
finché non avrà scontato tutta la pena.

Venticinque anni dopo l'omicidio,

nessuna delle persone coinvolte
è in prigione.

La famiglia lotta ancora
per la sua memoria e contro l'impunità.

IN MEMORIA DI JOSÉ LUIS CABEZAS
1961 - 1997

Sottotitoli: Paola Bonaiuti